Il 1930 è a Milano ma potrebbe essere a New York, a Londra o Parigi. Non ha luogo, sulla carta non esiste: è il bar “clandestino” più inaccessibile della città. Entrarvi non è facile, ma per innamorarvene basterà sorseggiare uno dei suoi cocktail.
Non aspettatevi Spritz o Campari Soda, qui si fa sul serio: i drink profumano di lavanda, si mescolano con il rum migliore, si shakerano con spezie e succo di lime. Che chic.

La luce è soffusa, la musica di un pianoforte riempie le piccole sale e la sensazione è quella di essere seduti a un bancone del Grande Gatsby o di C’era una volta in America. Un posto che sembra aver chiuso il mondo fuori e aver fermato il tempo all’epoca del proibizionismo, delle flappers e delle bretelle, le stesse che indossano i bartender che ci lavorano. Il 1930 si trova a Milano, in un viale anonimo, senza indicazioni o insegne, nascosto dietro le mentite spoglie di una piccola gastronomia etnica.

Per trovarlo dovrete aguzzare la vista, cogliere tutti gli indizi che chi vi ha invitato vi svelerà – il cognome fittizio su un citofono, un simbolo su una porta, un oggetto posato in vetrina – e anche ricorrere ad una parola d’ordine, poiché l’unico modo per entrare al 1930 è su invito, del proprietario o di uno dei suoi amici.

Un luogo speciale, insomma, che ho promesso di non svelare più di così … acqua in bocca quindi. O forse dovrei dire “champagne”…


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